Repubblica: “Il giallo. La morte di Fatah per crisi diabetica? «Glicemia alle stelle»”

L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sulla morte del cestista Haitem Jabeur Fathallah.

Sul tavolo del procuratore di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, da ieri mattina c’è un nuovo fascicolo. L’ipotesi di reato, omicidio colposo. Sulla copertina, solo il nome della vittima: Haitem Jabeur Fathallah. Trentadue anni, playmaker della Fortitudo Messina, Fatah — così lo chiamavano i suoi — è morto domenica sera all’ospedale di Reggio Calabria, dove era stato portato d’urgenza dopo il malore che lo ha fatto accasciare in campo, nel corso del match con la Dierre.

Si lavora duro e rapidamente, ma l’inchiesta è ancora tutta da costruire, le testimonianze da raccogliere, eventuali foto e video del momento in cui il ragazzo si è accasciato, da acquisire. Ed anche le cartelle cliniche. Fatah era diabetico e per questo da tempo era in cura. Di base, non si tratta di malattia che impedisca di praticare sport — anzi, spesso consigliato — ma per l’attività agonistica sono necessari controlli periodici e accurati. E su questo lui era scrupoloso. Da anni si faceva seguire dallo stesso specialista di Agrigento, « non bucava neanche un appuntamento » dicono i compagni di squadra. In più, aveva appena superato tutte le visite mediche programmate dalla Fortitudo ad inizio stagione.

Con la sua malattia poi, aveva imparato a convivere. «Era già capitato che stesse male si dispera Claudio Cavalieri, che della Fortitudo oggi è coach ma di Fatah è stato per anni amico e compagno di squadra però aveva imparato a reagire, portava sempre con sé la sua siringa di insulina e sapeva quando iniettarsela» . Eppure quando si è accasciato in campo la glicemia che in un soggetto normale viaggia intorno ai 100- 110 era alle stelle, oltre i 455 milligrammi. Valori da coma iperglicemico che però si riscontrano facilmente anche in soggetti colpiti da aneurisma cerebrale o infarto.
Cosa sia successo o perché, al momento nessuno sa dirlo. «A noi della squadra, persino ai dirigenti, i medici non hanno detto niente. Nessuno ci ha spiegato perché se ne sia andato così» dice Cavalieri, che di Fatah non riesce a parlare al passato. «È un fratello » dice « e rimarrà quello, è qui, è con me» . Per questo, spiega, domenica sera fino a tarda notte è stato di fronte al pronto soccorso con i ragazzi della squadra a vegliare da lontano quel compagno che non hanno avuto neanche il permesso di vedere.