Repubblica: “Aleksander Ceferin «Tre piani per il calcio, nulla sarà come prima»

Aleksander Ceferin, presidente dell’Uefa, ha voluto parlare di una possibile rivoluzione del calcio europeo al termine della pandemia. Di seguito la sua intervista ai microfoni di “La Repubblica”:

il calcio europeo fermo simboleggia l’assedio della pandemia?
«In questo momento drammatico la cosa più importante è la salute, uscire da questa crisi. Certo, il calcio interrotto simboleggia che l’Europa e il mondo si sono fermati».
L’obiettivo non è il profitto, disse lei il 3 marzo al congresso di Amsterdam: un presagio?
«Già prima della pandemia l’Uefa aveva distribuito l’87% di tutti i ricavi. Dopo la crisi l’unica strada possibile per unire il calcio europeo, cioè quasi il calcio mondiale, è che l’Uefa assuma la leadership. Sacrificare l’Europeo ha mostrato che ogni emergenza è la nostra emergenza e che ogni club è il nostro club. La videoconferenza con Eca, Leghe, Fifpro e poi con le federazioni è stata una fantastica dimostrazione di unità e solidarietà. Questa situazione terribile rivela chi le possiede e chi no: il calcio europeo è unitissimo».
Qual è il piano Uefa?
«Nessuno sa quando la pandemia finirà. Abbiamo il piano A, B o C: siamo in contatto con le leghe, con i club, c’è un gruppo di lavoro.
Dobbiamo aspettare, come ogni altro settore».
È nato un governo di crisi con lei e Infantino, il presidente Fifa?
«La videoconferenza era di tutti i soggetti del calcio europeo, la Fifa non era coinvolta. Con Gianni Infantino ho parlato prima e dopo, siamo solidali. La comunicazione è continua. È molto importante dimenticare interessi personali e disaccordi».
Le date della ripresa dell’attività?
«Non è una risposta diplomatica: non sapendo quando finirà la pandemia, non possiamo avere un piano definitivo. Per ora ne abbiamo diversi. Non si può paragonare il sacrificio di Euro 2020, principale introito per 50 federazioni su 55, con quello del Mondiale per club, che ancora non esiste. Ma era la decisione giusta».
Quali sono le opzioni?
«Ricominciare a metà maggio, a giugno o anche alla fine di giugno.Poi, se non ci riusciamo, probabilmente la stagione è persa.
C’è anche la proposta di finire questa stagione all’inizio della prossima, che comincerebbe un po’ più tardi. Vedremo la migliore soluzione per leghe e club».
I campionati nazionali sono la priorità?
«Se i club iniziano a giocare, anche noi possiamo finire le coppe. Si possono sfruttare le stesse date. Esempio: martedì Milan-Inter e anche, che so, Barcellona-Juventus. Lo stesso giorno: è una situazione speciale e unica».
Giocare d’estate comporterebbe deroghe a contratti e mercato?
«Sui contratti tra giocatori e club non abbiamo giurisdizione. Se la stagione ricominciasse, servirebbe un compromesso: che i contratti scadano più avanti e che il periodo per i trasferimenti slitti».
Ma nella prossima stagione c’è l’Europeo.
«Io penso che partirà l’11 giugno 2021. Se necessario, i club dovranno adeguare il numero di partite, ma è troppo presto per dire qualcosa».
Scudetti e qualificazioni alle coppe in caso di mancata conclusione dei campionati?
«Siamo in contatto con le leghe. Il gruppo operativo lavora notte e giorno».
Si riprenderà a porte chiuse?
«Mi è difficile immaginare tutte le gare a porte chiuse, ma ora non sappiamo se riprenderemo, col pubblico o senza. Se non ci fosse alternativa, sarebbe meglio finire comunque i campionati. Posso dire che non penso alle finali delle coppe europee a porte chiuse».
Le preparazioni atletiche?
«Non possiamo tirare fuori i giocatori dalla quarantena e farli giocare subito, c’è anche il rischio di infortuni».
Andranno sostenute di nuovo le visite di idoneità?
«Non sono un esperto. Se non ti muovi per due o tre settimane, hai un problema, anche se sei un atleta professionista. Il calcio ad alto livello è intenso, duro, si gioca due o tre volte la settimana. Ma la sfida ora è la pandemia».
Si va verso meno tornei e un tetto di 18 squadre ai campionati?
«I problemi nazionali spettano alle singole leghe. A livello internazionale io penso che non siano necessarie nuove competizioni per club: le abbiamo già. Il calendario è già pieno».
La Nations League cambierà?
«No, è un enorme successo. Le nazionali migliori giocano tra loro e così le più piccole. E tutti possono qualificarsi per Europeo o Mondiale.
Per le prossime finali dobbiamo solo trovare spazio nel calendario».
Le critiche per Valencia-Atalanta e per l’attesa nel rinviare l’Europeo e fermare le coppe?
«Per l’Europeo dovevamo esaminare più di 100 contratti, parlare con sponsor e broadcaster. Non si fa in un giorno. Quando c’è stata Valencia-Atalanta, si giocava ancora dappertutto in Europa. Era a porte chiuse e sui tifosi radunati davanti allo stadio la giurisdizione era delle autorità spagnole. Ho sentito anche una critica idiota per l’andata a Milano. Il 19 febbraio nessuno sapeva che la Lombardia sarebbe stata il centro dell’epidemia. Chi eravamo per dire non si gioca? Ci sono autorità preposte».
Cosa pensa del taglio degli stipendi?
«I contratti sono tra giocatori e club. Ma di questa crisi tutti soffriremo le conseguenze. Non c’è spazio per gli egoismi: vedremo quanta solidarietà c’è. Molti giocatori sono d’accordo».
I contratti potranno essere prolungati oltre fine giugno?
«Se non si può giocare per un mese, i club perdono i giocatori? Non ne sono sicuro. Naturalmente poi dovrebbe essere prolungato anche il mercato. Non puoi dire: giochi con noi fino a fine agosto, però poi non puoi trasferirti perché è chiuso».
Il Financial Fair Play verrà sospeso?
«La crisi coinvolge anche i club: abbiamo già posticipato alcuni requisiti da fine marzo a fine aprile.
Dipende da come si evolverà la situazione. Nulla sarà più lo stesso, dopo questo anno terribile, nel mondo intero. Sul Ffp ci sono più opzioni aperte».
Otto club di Premier League non vogliono il City, squalificato dall’Uefa e ora al Tas, nella prossima Champions.
«Rispetto gli organi giudicanti, non ne ho mai parlato con loro e non ho nemmeno letto il caso: avrei avuto un’opinione e questo non va bene».
Oggi gli eroi non sono più i calciatori?
«I veri eroi sono medici e infermieri. In Slovenia lavorano notte e giorno, rischiano la vita, non sono protetti adeguatamente. È tristissimo. La maggior parte dell’Europa ha sistemi sanitari molto deboli. Dobbiamo ripensarli. Il profitto dovrebbe essere usato anche per la salute, che è sempre prioritaria. Tutti hanno diritto a un’assistenza adeguata. Io non la vedo, in questo momento».
Il suo legame con l’Italia è forte.
«Mia madre è nata vicino al confine, sono dispiaciuto e scioccato. E sono molto triste e deluso per la scarsa solidarietà degli altri Paesi Ue. Spero che ne usciremo tutti migliori».
Il Papa ha detto a Repubblica: è la riscoperta del tempo e delle persone.
«Condivido le sue parole. Cambia la prospettiva delle cose. Si tratta di ripensare come viviamo, quanta solidarietà dimostriamo, quanto i nostri sistemi si curino dei più vulnerabili. Abbiamo bisogno di due computer, di due macchine, di uccidere milioni di animali per mangiare? Non sapevamo finora, specialmente il mondo occidentale, quanto siamo fragili. Ci credevamo intoccabili, onnipotenti, che la vita fosse andare nei centri commerciali, comprare, usare i social. Cose come questo virus o altri terribili calamità possono fermare il mondo. Il Papa ha ragione: è il tempo di chiedere tutti a noi stessi: andiamo nella giusta direzione? Io penso di no».
Il rischio è di sprecare l’occasione.
«Sono deluso dall’Ue. L’Europa è dominata da un eccesso di regole, divisa: per questo è più debole.Manca la solidarietà: è molto triste. Voi italiani per primi lo avete visto. Paesi Ue hanno impedito che i dispositivi di protezione arrivassero in altri. In Slovenia è successo: lo hanno permesso dopo una settimana. I populisti prevalgono, ne sono molto preoccupato. In questa crisi e nella crisi dei migranti è allarmante. L’unità della Uefa e del calcio europeo mi ha reso felice: siamo più grandi dell’Ue, abbiamo 55 Paesi, i grandi uniti con i piccoli».
Costruire un ospedale Uefa, magari in Grecia, non sarebbe un segnale importante?
«Può essere un’ottima idea. Due paesi in Europa hanno più problemi, Grecia e Turchia, e sinceramente anche l’Italia meridionale. L’Uefa è molto attiva attraverso la fondazione per i bambini: sostiene 250 progetti non governativi, in tutto il mondo.
Campi da calcio con altri partner, apparecchiature. Ho negli occhi l’immagine del grande campo profughi di Za’atari in Giordania, 80 mila migranti, quando i bambini senza genitori, fratelli e sorelle hanno cominciato a giocare tutti insieme, maschi e femmine. Con la federazione turca costruiremo un campo da calcio per i migranti. Non c’è solo il calcio professionistico: il profitto deve essere usato anche per la condivisione e le buone cause».
Quale messaggio l’ha più colpita?
«A me piace chi fa i fatti. Il mio amico Jack Ma, proprietario di Alibaba, ha detto: non possiamo sconfiggere il virus se non eliminiamo i confini per condividere risorse e conoscenza di questa lezione imparata duramente. Poi ha donato attrezzature in tutto il mondo. Dobbiamo aprire i confini per le persone, ma anche per le spedizioni».
Quando Messi e Cristiano Ronaldo torneranno in campo?
«Mi aspetto che il calcio porti energia positiva, speranza. Il mondo ne ha bisogno. È una scuola di vita.
Rende felici le persone. Quando vedranno che si gioca di nuovo, con gli spettatori, sentiranno di vivere di nuovo la loro vita. Spero che nessuno dimentichi che cosa è successo: non solo nel calcio, ma nel mondo. È una lezione: in futuro dovremo comportarci diversamente».