Prandelli: «Ecco quando ho deciso di smettere con il calcio. Mi è mancato il respiro per 10 secondi…»

FLORENCE, ITALY - JANUARY 13: Cesare Prandelli manager of AFC Fiorentina gestures during the Coppa Italia match between ACF Fiorentina and FC Internazionale at Artemio Franchi on January 13, 2021 in Florence, Italy. Sporting stadiums around Italy remain under strict restrictions due to the Coronavirus Pandemic as Government social distancing laws prohibit fans inside venues resulting in games being played behind closed doors. (Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)

L’edizione odierna de “Il Corriere della Sera” riporta un’intervista a Cesare Prandelli.

Ecco le sue parole:

«Addio al calcio? Era durante un Sampdoria-Fiorentina, a febbraio del 2021, stavamo dominando la partita poi, verso il settantesimo, ha segnato Quagliarella per loro. In quel momento ho provato una spaventosa sensazione di vuoto. Mi è mancato il respiro per dieci secondi. Credo di conoscere il sapore dell’adrenalina ma una esperienza così non l’avevo mai provata. Un vuoto nero, un gorgo di nulla».

La depressione, una sorta di attacco di panico “per troppo amore“, dice l’ex ct della Nazionale. Lo chiama proprio così.

«Forse il troppo amore perla Fiorentina, il desiderio di strafare, di portarla fuori dai guai. Ho parlato con le persone che sanno gestire queste situazioni di stress e mi hanno consigliato di staccare un po’. Mi hanno fatto questo esempio: è come un chirurgo che in sala operatoria interviene tutti i giorni ma arriva un familiare e lui si blocca. Il chirurgo non riuscirà più ad operare. Una sensazione così, di troppo affetto, di troppo amore, di troppa responsabilità mi ha tolto il respiro. Era il segnale. Mi sono ammalato di troppo amore, non è retorica. In quegli stadi vuoti in cui ogni cosa era, insieme, amplificata e silenziosa, avevo perso il riscontro diretto con le cose, sembrava una bolla marziana. E poi io voglio troppo bene alla Fiorentina, non posso vederla soffrire e tantomeno sentirmi responsabile di questa sofferenza. Mi sentivo come quando vedi tuo figlio che sta tentando una cosa e vorresti farla tu ma non sei in grado, perché non puoi farla. Questa è la sensazione che ho avuto. Vuoto e impotenza».

«Io ho sempre lavorato basandomi sulle relazioni. Quando mancano l’allenare diventa solo un lavoro freddo, in cui i dati sono preponderanti rispetto all’aspetto umano. La cosa imbarazzante è quando tu finisci l’allenamento, entri nello spogliatoio e tutti sono con il telefonino in mano. Non ci sono dieci minuti, un quarto d’ora in cui cerchi di analizzare, non so, la partita che hai perso, la situazione che non hai capito, tutto finisce lì. Magari sono molto più seri e professionisti rispetto a noi, ma hanno una concezione diversa del lavoro che deve essere accettata. È così, oggi. Mondiali 2014? Me li sogno ancora, però c’è da dire che è stata l’ultima volta che l’Italia si è qualificata ai Mondiali. Non sono una persona polemica, assolutamente, lo dico perché è così. In quei quattro anni abbiamo cercato di capire dove poteva andare il mondo Federazione. Allora abbiamo cercato di fare delle proposte, ma abbiamo trovato molti ostacoli. Ci sono tante parrocchie che condizionano la scelta del presidente. I dati dicono che, fino ai vent’anni, noi siamo molto competitivi a livello mondiale, molto. E poi no, c’è un vuoto e volevamo capire il perché. Alla fine torni sempre a come gestisci i bambini che iniziano a giocare a calcio, inizia tutto da lì».