Maria Sole Ferrieri Caputi: «Vedevo Baggio e ora sogno il Mondiale»

L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma su Maria Sole Ferrieri Caputi, primo arbitro donna in Serie A è riporta le sue parole.

Sogno senza confini, un aereo per l’India, Mondiale under 17 femminile, il passo, l’ennesimo, prima di provare a realizzarne un altro, di sogno, ovvero quel Mondiale donne in programma in Australia e in Nuova Zelanda dal 20 luglio al 20 agosto 2023, dopo averne appena acciuffato uno, l’esordio della prima donna arbitro in serie A. Difficile, ma non impossibile. Perché Maria Sole Ferrieri Caputi è, come si dice, livornese «di scoglio» e non «di sabbia» e, si sa, gli scogli sono duri, in questo caso nell’accezione più positiva del termine. Da tradurre con determinazione, forza di volontà, sacrifici, lavoro. Passati («Ora dite che corro, ma quando ho iniziato mica era così»), presenti («Si lavora sul campo tutti i giorni, più 5/6 ore di studio sulla tattica a settimana») e futuri («Ora no, perché non sarei neanche pronta, ma per le atlete professioniste diventa un pensiero anche la cosa più bella del mondo, diventare mamma»).

Un passo alla volta, come li ha compiuti lei, da Antignano Banditella-Orlando del 2007 fino al Mapei per Sassuolo-Salernitana. Avrebbe fatto il mediano, se avesse giocato a pallone, sarebbe stata archeologa («Ero fissata con l’Antico Egitto») se non fosse stata ricercatrice alla Fondazione Adapt (Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali). E se volete fare il bagno il bagno a Livorno, per lei si deve andare «a Calignano, c’è l’acqua più bella di tutti», mentre fra la Baracchina Bianca o Rossa (due luoghi-simbolo della Livorno che si aggrega) per un aperitivo, preferisce «il Circolo Nautico sul porto». I due libri che l’hanno e la stanno appassionando sono “Il coraggio di non piacere” e, ora, “Il coraggio di essere felice” di Fumitake Koga e Ichiro Kishimi. Se ci pensate, in due titoli, tutto il mondo di Maria Sole.

Il giorno dopo come è?
«Come è non lo so, ancora non ho avuto modo di fermarmi, tutto troppo veloce. Vorrei avere un momento per me per vivermi tutto, in serenità».
Un giudizio? In campo ha sempre cercato la posizione migliore, ha assegnato un rigore…
«I giudizi li dà il mio designatore, Gianluca Rocchi. Penso che sul rigore forse potevo avere un maggior angolo di visuale, ma il mio spostamento su una ripartenza complessivamente non mi è dispiaciuto. Anche se la posizione giusta, perfetta, non c’è mai».

Una parola per l’esordio?
«Bellissimo, me lo avevano detto, non ci ho creduto, almeno fino a quando non sono entrata sul terreno di gioco».

Si studia? Si rivede?
«Certo, cresci solo così, in maniera rapida, quando le categorie nelle quali arbitri permettono di avere qualche video accettabile. All’inizio non c’erano smartphone o altro. Con i colleghi capitava di andare a vederci reciprocamente, magari con piccoli video. E in sezione c’era una persona che poi metteva a disposizione della sezione le immagini».

Il prossimo sogno da realizzare?
«Una grande competizione a livello femminile, il prossimo anno c’è il Mondiale, è difficile, oppure gli Europei e il Mondiale successivo»

Una passione nata?
«Sempre appassionata di calcio, a sei anni mi piaceva già da matti, come tutto lo sport che in generale mi emoziona, mi lasciava incantata. Le Olimpiadi sono il top. Certo, non pensavo già di fare l’arbitro. Però alle elementari, in giardino, giocavo a calcio. Poi c’era mio papà, che guardava sempre il calcio in tv. Ed infine i Mondiali, 1994, ero piccolissima e poi quelli del 1998. Lì nasce la mia passione per Baggio e quella maglia che mamma mi ha comprato al mercatino, non ufficiale, ma è la più preziosa di tutte».

Arbitro, tutta colpa di un volantino…
«Liceo Scientifico Federigo Enriques, con gli amici ci siamo messi d’accordo per iniziare il corso. Ma tutti quelli che avevano cominciato con me, dopo un anno e mezzo avevano smesso. All’epoca non pensavo certo di arrivare in A, all’inizio è passione, sport, condivisione, una rete sociale sana, pulita, che ti permette di crescere. E che ti dà un rimborso spese. Con i primi assegni che arrivavano alla BNL, perché li raggruppavano, mi ci sono pagata una vacanza all’Elba con le amiche».
Le difficoltà che ha incontrato? Ha mai pensato di mollare tutto?
«Nelle categorie regionali, per aspetti non solo caratteriali ma anche fisici, sui quali ho lavorato. All’inizio non correvo come ora, ci ho lavorato. A Santa Croce sull’Arno, in Promozione, rimasi piantata su un lancio lungo. Mi dissi, quella ed altre volte, che avrei smesso. In serie D, dopo qualche prestazione o visionatura non brillanti»
A cosa ha dovuto rinunciare per la passione?
«All’Erasmus, anche se tanti sono riusciti a fare entrambe le cose. Io no, un limite mio. Pensavo che per un arbitro, perdere una stagione sportiva potesse voler dire molto. Anche se penso sia un’esperienza molto formativa. Ma non è tutto, perché le rinunce sono continue. E non finiranno qui».

Spieghiamo?
«Penso alla difficoltà di una maternità, e lo dico in maniera sana, perché ora come ora non ci penso. In un futuro, mi piacerebbe, ora forse non sono pronta, non è un peso. Però spesso ci troviamo davanti ad una scelta, non imposta da qualcuno, ma essendo delle sportive, tendiamo a rimandare famiglia e figli. Anche su questo si potrebbe fare un passo in avanti. Fra colleghe ci confrontiamo, è comunque un tema al quale ci troviamo davanti quotidianamente. I nostri sacrifici vanno anche pesati rispetto ad alcune rinunce, o scelte, che gli uomini non devono fare. Molte colleghe hanno programmato la gravidanza in un anno dove non c’erano Europei e Mondiali. Si perde la naturalità di una cosa che è naturale, è comunque un pensiero in più, familiare da una parte e sportivo dall’altra. Carina Vitulano, mio punto di riferimento, è riuscita a fare entrambe le cose ma…».
Ma come è essere donna in un mondo di uomini, nel senso del mondo del calcio?
«Non mi piace il giudizio continuo, al quale noi donne siamo più esposte, sia che tu sia riservata, sia che tu sia estroversa. Succede nel mondo, non nell’AIA o nel calcio. Se poi tutto questo si porta in un mondo “maschile” come quello del calcio, sento che spesso devo stare attenta alle cose. E sinceramente spero che mi si giudichi come arbitro e non come donna, per una società più evoluta. Giudicate per il proprio lavoro e non per come ci si veste o ci si comporta».