Liverani e la morte della moglie Federica: «Eravamo separati ma per lei avrei dato la vita»

L’edizione odierna de “Il Corriere della Sera” si sofferma sul grave lutto che ha colpito Fabio Liverani riportando un’intervista all’ex rosanero.

«Mia moglie era forte, ha combattuto fino alla fine. Mia moglie non c’è più». Fabio Liverani e Federica Frangipane non erano più sposati ma l’allenatore del Cagliari fa fatica a parlare della madre dei suoi figli, Mattia e Lucrezia, come di una ex. E non perché era malata. «Per il rapporto che c’era tra di noi: sereno e di affetto, anche per i ragazzi. Forte», dice. Federica aveva 46 anni, combatteva contro il cancro da nove. Fabio, ci racconta la donna che ha sposato? «Dire oggi che la mia ex era una donna dolce e di grande carattere può dare l’impressione del solito cliché: parlar bene di chi non c’è più. Le assicuro, invece, che Federica era proprio così. L’ho conosciuta ragazzina, aveva 13 anni, ed è stata una storia bella, bellissima. Anche quando tra di noi le cose hanno cominciato a non funzionare più».

Stavolta l’ha chiamata ex. «Capita quando ci penso un po’ di più, ma d’istinto dico moglie. L’amore può finire, il bene era e resterà per sempre. Mattia e Lucrezia ci han no vissuti così: due persone che hanno continuato a rispettarsi e stimarsi. Federica è stata la mia gioventù, le mie delusioni, i miei successi».

Poi? «Poi, poco prima che si ammalasse, sono cominciate le incomprensioni. E la crisi definitiva del nostro matrimonio. La prima diagnosi non era terribile: un meningioma, un cancro al cervello di natura benigna. È stata operata una prima volta, poi è ricomparso ancora e ha subito il secondo intervento. Fino alla terza operazione, a quel punto non era più un male da poter combattere. Lei ha creduto di potercela fare fino a sei mesi fa. Sorrideva e lottava. Federica voleva vivere, per i nostri figli. Federica era la vita».

Lei per lavoro è lontano da Roma, come ha gestito la situazione. E come farà ora? «Adesso alleno a Cagliari,dopo le partite andavo a casa a Roma. Da lei, dai ragazzi. L’hofatto anche sabato scorso: Federica era costretta a letto, lamalattia le aveva compromesso la mobilità di arti e muscoli. Stava male, non immaginavo però che due giorni dopo l’avrei persa. L’avremmo per[1] sa, tutti».

Ha mai pensato di lasciare il calcio? «Per Federica ero pronto a sacrificare tutto. Lei non melo ha permesso». Anche la carriera? «Avrei dato la mia vita se fosse servito a salvarla. Aveva ancora tanto da dare. I suoi desideri in punto di morte sono stati per gli altri».

Si riferisce all’iniziativa che ha messo in piedi suo fratello Emiliano e che lei ha condiviso sui social? «Sì, di sostenere economicamente l’Ifo, la struttura ospedaliera che frequentava. Hanno attrezzature non nuovissime, ci sono tanti pazienti che hanno ancora speranze. Federica ha insistito molto. “Aiutiamoli, mi diceva”. Mio cognato si sta occupando della raccolta dei fondi».

Che cosa resta di Federica? «La sua bontà, il suo sorriso. Resta anche l’affetto che il mondo del calcio sta dimostrando alla mia famiglia. È un mondo visto come privilegiato e basta. Invece ho scoperto sentimenti autentici. Veri. Sono qui a Cagliari ad allenare i miei ragazzi. Mi aiuta»