Gds: “Palermo: «Erano gentili, poi mi hanno violentata». Le mogli tradite confermano lo stupro”

L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” si sofferma su una violenza sessuale verificatasi in centro a Palermo.

Birra e sambuca, poi l’orrore in una stanza di un B&B del centro storico. Una stanza disseminata di profilattici usati, lasciati per terra in un disordine assoluto. La violenza sarebbe stata agevolata, oltre che dall’alcool, forse anche da una droga. E i referti dell’ospedale riferiscono di un corpo, il corpo della vittima, massacrato da graffi, ematomi, lesioni di vario genere, anche se non nelle parti intime.

Il racconto di una turista, che ha denunciato lo stupro, getta l’ennesima ombra su una città ancora ferita dalle violenze consumate dal branco la scorsa estate su una ragazza di 19 anni al Foro Italico, con 7 coetanei sotto accusa. È stata una donna canadese di 36 anni, origini italiane, quella che ha aperto nuovi squarci, denunciando la violenza che sarebbe stata compiuta ai suoi danni da due cugini, Agostino e Giuseppe Romano, rispettivamente di 42 e 44 anni, in carcere con l’accusa di violenza sessuale dal 9 marzo: ma solo ieri la notizia è stata divulgata. E già si è pronunciato il tribunale del riesame, che ha respinto l’istanza di scarcerazione proposta dai difensori, gli avvocati Lia Zarcone e Piero Capizzi.

Le motivazioni del provvedimento non sono state ancora depositate. Agostino Romano è inserviente, dipendente di una cooperativa che effettua pulizia e sanificazioni al Policlinico ed è proprio lì, che – secondo i carabinieri, che conducono l’indagine, coordinata dal pm Giulia Amodeo – avrebbe agganciato la donna. Il cugino, Giuseppe, con precedenti penali per rapina, sarebbe stato chiamato da Agostino come supporto e perché partecipasse anche lui alla notte di «sesso facile».

I militari del Nucleo operativo di Piazza Verdi, che hanno avuto il supporto della rete antiviolenza del Comando provinciale, sostengono che il 42 enne avrebbe «puntato» la donna, in difficoltà con la lingua e palesemente spaesata: lui l’avrebbe irretita con la sua gentilezza. Un garbo che la stessa vittima gli ha riconosciuto. E che l’avrebbe convinta a fidarsi di lui. Pronto però a coinvolgere il parente e ad approfittare della situazione.

A incastrarli, senza volerlo, sono state proprio la moglie e la compagna, perché parlavano al telefono fin troppo liberamente, senza intuire che avrebbero potuto essere intercettate. Per loro il marito e il convivente avevano perso la testa per quella che ritenevano una poco di buono, ma forse erano andati oltre il semplice sesso (in realtà dicono una parola ben più cruda, ndr) con la turista canadese di origini italiane che ha denunciato di essere stata violentata dai due cugini Agostino e Giuseppe Romano nel bed and breakfast di via Antonio Marinuzzi.

I carabinieri sentivano e registravano: «Dopo che abbiamo scherzato un poco… dopo che mi sono fatto la doccia e io ero nudo, lei si è messa a fare karate», era il racconto intercettato di quanto aveva rivelato Giuseppe alla moglie. E la donna dall’altra parte del telefono aveva ribattuto sprezzante, confermando di fatto lo stupro: «I mongoloidi hanno capito che questa non capiva niente…».

Ed erano così convinte che la verità sarebbe venuta a galla che una di loro era pronta a fare un blitz nello studio del legale che assiste la canadese: «Io qualche giorno di questo, voglio andare da questo avvocato – diceva la moglie di Giuseppe -. Ci vado però per appuntamento. Gli dico, avvocato io sono una delle mogli di uno che questa ragazza dice di essere stata violentata, io devo lasciare mio marito perché lo devo lasciare, indipendentemente lo devo lasciare, io devo vedere la dichiarazione di questa ragazza. In qualche modo la verità la devo sapere».