Gazzetta dello Sport: “Lo stalker e l’addio a Napoli. La condanna e poi le lacrime. Così Quagliarella è rinato”

“Non sono stati anni facili gli ultimi per Fabio Quagliarella. La condanna in primo grado a quattro anni e otto mesi di Raffaele Piccolo, ex poliziotto in servizio alla postale di Napoli, che a lungo è stato il suo stalker, lo ha ripagato – in parte – della sofferenza provata in un periodo molto buio della sua vita e lo ha fatto piangere, domenica, dopo Samp­Cagliari. Quagliarella, infatti, al pari di altri vip tra i quali il cantante star di Capri Guido Lembo, e di numerosi imprenditori della zona di Castellammare di Stabia, veniva minacciato, a sua insaputa, da Piccolo con foto e lettere, e poi ricattato dallo stesso che gli prometteva un aiuto in virtù del suo ruolo nella polizia postale. A convincere il giudice monocratico Ernesto Anastasio a condannare Piccolo è stata la testimonianza fornita qualche mese fa dall’attaccante della Sampdoria al pubblico ministero Barbara Aprea. Parole che squarciano il velo su una vicenda incredibile: «Conobbi Piccolo grazie ad un mio amico – ha raccontato l’ex centravanti del Napoli – che ha un negozio di telefonia in viale Europa a Castellammare. Al mio amico spiegai che qualcuno era entrato nel mio profilo messenger. Fu lui a consigliarmi di incontrare Piccolo che divenne il mio unico punto di riferimento e mi diceva di non parlare con nessuno perché avrebbe trovato lui il colpevole». Attenendosi ai consigli ricevuti, Quagliarella formalizzò alcune denunce contro ignoti proprio al suo stalker in virtù del fatto che Piccolo fosse un poliziotto. Querele che, ovviamente, non ebbero alcun seguito. LA CHIAVE Il momento decisivo della vicenda è legato a un episodio ben preciso: «I miei primi dubbi su Raffaele Piccolo li ebbi a luglio 2010 – ha spiegato Quagliarella agli inquirenti –, ero in vacanza a casa di un mio amico avvocato. Uscimmo in barca e facemmo tardi. Tornato dal mare, mio padre mi disse che continuavano ad arrivare le lettere diffamatorie su presunti incontri con i clan. Guardai in faccia il mio amico, anche lui riceveva quelle lettere. Erano le stesse accuse infamanti di droga e pedofilia. In quel momento, ad entrambi, si aprì un mondo». Quagliarella decise allora di affidarsi all’avvocato Gennaro Bartolino per sporgere, stavolta sì, regolare denuncia e poi si costituì parte civile nel processo. LA BARA La sua ricostruzione diventa ancor più dettagliata quando ricorda la stagione vissuta nel 2009­2010 da protagonista con il Napoli, prima di andare alla Juve: «A casa di mio padre arrivò una busta con dentro due foto, in una c’ero io e nell’altra era raffigurata una bara». Lettere minatorie vennero spedite a Castel Volturno, nella sede del Napoli, e nei primi mesi juventini di Quagliarella furono recapitate al centro di Vinovo: «Prima che De Laurentiis sapesse di questa situazione, ci sentivamo tutti i giorni al telefono. Dopo, mi consigliò di lasciare Castellammare e di andare a vivere in albergo. Non mi ha mai più richiamato – ha spiegato il bomber della Samp –. Così fui costretto a lasciare la mia città. Quando andai alla Juve, nelle lettere c’era scritto che avrebbero picchiato la mia famiglia per il mio addio al Napoli». CUORE DI PAPÀ Logico che Quagliarella abbia attraversato momenti di crisi, che sabato via Facebook ha descritto così: «Ho vissuto con questa immensa bolla di cattiveria e disonestà. Non potevo fare molto, solo aspettare che la giustizia facesse il suo corso. Finalmente, con orgoglio posso dire che mi sento davvero più leggero, più sollevato. Tutto ciò non ha mai intaccato la mia professionalità, però la maglia la indossa sempre un uomo, con i suoi valori, con i suoi sentimenti e con la sua sensibilità. Adesso posso garantirvi che mentalmente sono davvero sereno». Gli resta soltanto l’amarezza per aver lasciato il Napoli dopo appena un anno. Un addio che ora anche i sostenitori azzurri vedono sotto una luce differente, pronti in qualche modo a «perdonare» Quagliarella. Chi non si è perso un’udienza del processo è stato il papà del calciatore, Vittorio, che ieri ha festeggiato felice il suo compleanno proprio insieme al figlio Fabio che lo ha raggiunto a Castellammare. «Finalmente questa storia è finita. Ero sempre in aula perché volevo che si accertasse la verità. Ora tutti avranno compreso quali erano le motivazioni del Napoli quando ha ceduto Fabio alla Juve. Certo, rimane in noi un pizzico di rammarico per come è finita la sua storia con la maglia azzurra che lui ha da sempre nel cuore». La vicenda giudiziaria, tuttavia, non può dirsi ancora conclusa: incombe infatti il rischio prescrizione per il giudizio di secondo grado. Del resto, il processo è durato più del previsto in quanto in un primo momento era stata affidato al giudice Aufieri che poi ha lasciato il fascicolo al collega Anastasio, l’uomo che ha fatto piangere di gioia Quagliarella con la sua sentenza”. Questo quanto riportato da “La Gazzetta dello Sport”.