Fausto Silipo: «La mia vita nel calcio tra rosanero e Catanzaro»

L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma su Catanzaro-Palermo intervistando sul doppio ex della sfida Fausto Silipo.

Un cuore diviso in più parti. Con il calcio, fra Catanzaro, la città d’origine, e Palermo, dove avrebbe voluto vivere. Nel mondo fantastico: con la poesia, sua ispirazione infantile; con la voglia di diventare scrittore e pittore; e con Nina, personaggio immaginario, che gli tiene compagnia su Facebook ascoltando le sue riflessioni quotidiane su una palla che non rotola più.

Fausto Silipo vive a Roma, ma in Calabria sono custoditi il profumo del passato e il film della sua vita. «A undici anni, il primo dolore, la morte di papà: giurai che sarei diventato famoso per aiutare mamma, guardarobiera in albergo. A scuola feci appena le elementari e pallone divenne mezzo di riscatto e di rivincita. Con il tempo ricordai la promessa fatta a mia madre: ripresi dalle medie, frequentai il liceo artistico, terminai con il diploma all’Isef».

Da ex rosa negli anni Settanta, Ottanta a spettatore di Catanzaro-Palermo. «Società che vorrei rivedere al più presto in A. Mi sento palermitano d’adozione, non riuscirei a tifare per l’una o per l’altra, farei confusione legato come sono ai sentimenti, agli amici, ai valori. Di sicuro, sia pure in televisione, non mi perderò lo spettacolo».

A Catanzaro, due straordinarie promozioni in A e dieci anni di fedeltà. «Con Seghedoni nel ‘71, indimenticabile perché era la prima volta per i giallorossi e per una squadra calabrese. Poi con Di Marzio nel ‘76, altra impresa memorabile. E c’era “Sir” Claudio Ranieri».

Con cui nacque una splendida amicizia mai interrotta. «Di più. Siamo cresciuti come fratelli. Sua moglie era amica della mia, andavamo in vacanza insieme. Claudio è un uomo universale, sono felice per il meritato il successo».

Nel Palermo, quattro stagioni e la famosa finale di Coppa Italia contro la Juve. «Uno dei dispiaceri più grandi. Meritavamo di vincere, rientrai da solo senza aspettare i compagni, una fuga dalla delusione. Ero così nervoso che scendevo ad ogni stazione e mi fermavo al bar. Tornai in sede due giorni dopo tra la paura di quanti non avevano avuto più mie notizie».

Il gol dell’ex Causio arrivò a tre minuti dalla fine dei tempi supplementari. «Le svelo un segreto. Da piccolo tifavo per la Juve, ho smesso dopo avere toccato con mano la loro arroganza e la familiarità con l’arbitro Barbaresco. Fuori dallo scudetto e dalla Champions, in dieci per l’infortunio a Bettega, avevano bisogno di salvare la stagione e lo fecero con tutti i mezzi e mezzucci possibili. Quel giorno calpestai per sempre la mia stima verso la Juventus».

A trentatré anni la rottura con i rosa. «Mi dispiaceva lasciare quella che considero la mia seconda città, avevo perfino comprato casa. Poi un infortunio, l’ennesimo cambio di presidente: avvertivo che non mi consideravano più come prima. Fosse stato per me non sarei mai andato via».

La sua annata migliore con Cadè in panchina. «Segnavano tutti ma non c’era un classico bomber. Capocannoniere fu un difensore, appunto il sottoscritto con sei gol, cinque dei quali nelle prime tredici partite con una doppietta contro il Matera».

Lei a Palermo aveva comprato casa in via Belgio. «Fu Renzo Barbera a sistemarmi vicino alla sua villa. Non ho mai creato una classifica dei presidenti avuti. Per loro bisogna avere solo rispetto. Ma Renzo era unico. Avevamo un rapporto speciale sbocciato proprio a Catanzaro…».

In che senso? «Lo conobbi nel pieno di una feroce contestazione nei confronti dei rosa. Doveva andare a Roma, la squadra era bloccata dentro lo spogliatoio per motivi di ordine pubblico. Lo vidi disperato e, al di là del colore della maglia, lo feci uscire da una porta secondaria accompagnandolo al taxi. “Ti prometto che sarai un giocatore rosanero”, mi salutò».

Gasperini, Montesano, Arcoleo, Borsellino… Quanti ricordi! «Gasperini veniva dalla Juventus, era appena svezzato, tutto avrei pensato ma non che facesse l’allenatore. Montesano? Un funambolo. Con una mentalità diversa, sarebbe finito in Nazionale. Bravo ragazzo ma istintivo, gli bastavano un paio di tunnel, andata e ritorno, per credere di avere vinto. E non dimentichiamo Borsellino, compare d’anello, e Arcoleo con cui ho giocato, in serie A, a Genova».

E il presidente Gambino? «Disponibile e spontaneo con tutti, uno di quelli che la sera giocava a carte con i giocatori e teneva i soldi nascosti nei calzini. Ero uno dei preferiti anche al tavolo da gioco (ride, ndr). Di rara umanità».

Oggi la C e la carica di Baldini. Undici punti di svantaggio si possono recuperare? «Pochi non sono, devi ribaltare una situazione quasi impossibile anche se Baldini non pone limiti: statisticamente quante rimonte del genere ci sono state? Il tecnico e il suo carattere non sono in discussione. Deve confrontarsi però con la forza del Bari. Meglio pensare ai play-off, con convinzione».

Il Palermo non vince a Catanzaro dal 15 maggio del 1966 e i giallorossi sono stati protagonisti del mercato. «Ma non sono ai livelli della capolista. Come del resto non lo è nemmeno il Palermo. Con il Bari in mezzo, questa sfida diventa una sorta di spareggio per i posti che contano specialmente dopo che il Catanzaro è uscito dalla Coppa Italia».