Corriere dello Sport: “Sampdoria come il Palermo, vicina la multiproprietà. Siamo sicuri che sia la scelta migliore?”

L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sulla Sampdoria che potrebbe finire nelle mani di Al-Khelaifi e entrare a far parte di un’altra multiproprietà proprio come il Palermo.

Il rumour di un interesse del Qatar per la Sampdoria può riempire di speranza i tifosi del club blucerchiato, angustiati dalle drammatiche evoluzioni delle vicende societarie. Uscire dall’attuale vacatio, provocata dalle acrobazie di Ferrero, con una nuova proprietà (quale essa sia) sarebbe già motivo di esultanza.

Figuriamoci poi se il nuovo padrone fosse uno dei fondi sovrani più ricchi al mondo, già proprietario del PSG trasformato – da club di seconda fila della Ligue 1 – in una scuderia ricchissima di campioni. Comprensibili le speranze dei tifosi blucerchiati e legittimo l’augurio che una società storica sopravviva all’umiliante trafila di tribunali e retrocessione in serie minori.
Lo sbarco possibile del Qatar in Serie A offre lo spunto, tuttavia, per una riflessione critica sulla crescita delle multiproprietà. Secondo il Financial Times, 195 club nel mondo sono oggi coinvolti in strutture proprietarie multiple. Erano 81 nel 2018. Nel microcosmo italiano è stato un caso la Salernitana, risolto con la cessione del club dopo l’approdo in Serie A, ma potrebbe diventarlo il Bari se centrerà l’obiettivo della promozione.

Lo sbarco dei buyer internazionali è già avvenuto con l’acquisizione del Palermo da parte di City Investment Group che controlla partecipazioni in 10 club nei cinque continenti oltre, naturalmente, alla nave ammiraglia Manchester City. Lo stesso Qatar possiede anche il club portoghese FC Braga ma sembra in procinto di acquisire il Malaga e i brasiliani del Santos. L’investitore americano John Textor controlla Lione, Crystal Palace, Botafogo e Molenbeek.

La multiproprietà nel calcio non è fenomeno recentissimo. Esplose in tutta evidenza quando la Red Bull creò, di fatto, il Lipsia nel 2009 dopo avere già acquistato gli austriaci del Salisburgo. Tollerato dall’Uefa con un certo lassismo, il caso aprì una breccia alla creazione di strutture multiproprietarie o magari è il mercato a spingere fortemente in questa direzione, senza che i regolatori possano farci molto. I vantaggi della multiproprietà risiedono soprattutto nella possibilità di gestire un parco giocatori allargato grazie a club satelliti che possono fare da vivaio al club maggiore o perché la creazione di un mercato “interno” gestito dalla holding può incrementare (qualcuno dice: artificiosamente) il valore dei calciatori.

Altri vantaggi sono nella centralizzazione della gestione degli sponsor oppure nella diversificazione finanziaria del rischio di oscillazione delle prestazioni sportive. Esattamente come fa un investitore che diversifica il portafoglio di investimento per compensare cali inattesi nel valore di un titolo con apprezzamenti di altri.

Occorre chiedersi se la multiproprietà fa bene al calcio. Nell’immediato, è comprensibile che i tifosi della Samp sperino di avere un azionista tra i più facoltosi al mondo. Nelle turbolenze di questi anni bui, entrare nell’orbita qatariota significa trovarsi in un ventre di vacca ma dopo? Essere società satellite di un colosso che ha nel PSG la squadra di punta prospetta il rischio di essere tenuti ai margini. Supponiamo che la Samp fosse in lotta per un posto nelle coppe dalle quali manca ormai da troppo tempo. Uno scenario che il tifoso, logicamente, si augura ma non necessariamente gradito all’azionista per i fastidi che arrecherebbe al club più importante. Il rischio, insomma, è di essere tenuti nel limbo per anni come area di parcheggio o di crescita per giocatori da dirottare, se esplodono, nella piazza più importante.

I regolatori hanno usato una mano troppo morbida sul tema. Comprensibilmente, se analizziamo il problema nella logica di favorire gli investimenti nell’industria. Meno pensando alle ricadute potenziali sulla regolarità delle competizioni e sull’affezione degli spettatori, il bene comune immateriale che tutta l’industria farebbe bene a preservare. Oggi c’è tolleranza ma domani, se il problema dovesse esplodere in maniera evidente, con investimenti già fatti e situazioni cristallizzate, non sarebbe facile tornare indietro.