Corriere dello Sport: “Addio a Zamparini, sconfitto dal dolore”

L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sulla scomparsa di Maurizio Zamparini.

Ho visto sparire insieme la luna e il sole. Tito Stagno e Maurizio Zamparini. Il giornalista elegante e affabile che ci portò sulla “silenziosa queta e contenta” amica dei nostri sogni, primo a metter voce e occhi indagatori – inviato specialissimo – sul suolo lunare insieme a Neil Armstrong, il 21 luglio 1969 alle 4.56. E il furlano di Bagnària Arsa, ardente di passione pallonara che prima emozionò serenamente la Venezia assopita eppoi – abbandonatala nei suoi tormenti – portò un tumulto d’emozioni e una felicità solare nell’inquieta Palermo, il 29 maggio del 2004, facendola rifiorire come una rosa. Eccoli insieme – giusto il tempo di un grato pensiero – tanto erano diversi eppure portatori di contributi significativi al mondo del calcio che si onora da oltre un secolo dì ospitare personaggi non banali: rigoroso Tito Stagno, controverso Maurizio Zamparini, entrambi cari al cronista delle loro imprese che oggi li ricorda con nostalgia.

Quel maggio di diciott’anni fa Zamparini mi accolse al “Barbera” pronto a trasmettermi il primo fuoco rosanero perché cominciassi un racconto epico al quale invitare altri e più esperti narratori di città per concedergli una sorta di eternità. Era, in quel momento, un ambizioso felice, neanche paragonabile ad altri provocatori infastiditi dall’imborghesimento del calcio o al sè medesimo che anni dopo si sarebbe infiltrato nei contestatori del Sistema Paese inventandosi il “Movimento per la gente” e anche i Forconi. Ottenendo – insieme all’ammirazione per l’abilità di talent scout di campioni – il plauso fantozziano di personaggi dello spettacolo e della cultura, da Enrico Montesano a Magdi Allam, passando per Martufello che gli attribuiva capacità miracolose definendolo “È mejo der viagra”.

Per raggiungerlo – quel giorno della promozione dopo 31 anni d’attesa – dovetti sfondare un muro di appassionati che aspettavano di veder da vicino e toccare il Salvatore già da tempo raccomandato a Santa Rosalia. Prima, avevo attraversato una città felice imbandierata di rosa e di nero. In Continente si esaltava la sicilianità del pallone non dimenticando tuttavia che alla base dell’entusiasmante ritorno in Serie A del Palermo c’era stato un vero e proprio trapianto di pedatori del Venezia. E di questo volevo parlargli ma al primo accenno fu schietto: «Questa è una vittoria che vale una vita». E più non dimandare.