Corriere dello Sport: “Baccaglini: «Shhh…silenzio, adesso parlo io. È l’ultimo tatuaggio che ho fatto, è sull’indice sinistro, lo userò dopo il closing: io ho sempre zittito gli scettici»”

“Il suo corpo parla anche attraverso i tatuaggi. Simboli cool che riscuotono meraviglia e approvazione. Paul Baccaglini, presidente social del Palermo, deve ormai cercare angolini sulla pelle per piazzarne altri. L’ultimo è sul dito indice della mano sinistra con la scritta: “Shhh …”. Cioè, zitti. Da portare al naso perché il messaggio sia visibile. «Lo userò il primo maggio. Bastano piccole cose per cambiare il mondo. La gente mi incontra e chiede: “E il closing?” Come mia figlia quando aspetta Natale …. “Papà, quanti giorni mancano?” Vorrei che fosse oggi, così ci togliamo il pensiero. Non esistono inganni, solo date che verranno rispettate». Incredibile quello che Paul sta facendo. Nel giro di tre settimane, è diventato il personaggio più cliccato d’Italia. Un impatto che spinge ad esaminare la sua forza comunicativa e innovativa, e i suoi contenuti. In campo e fuori. «I calciatori hanno una responsabilità maggiore. In un centro oncologico, ho visto un bambino soffrire e la mamma piangere. Lui senza capelli ma con il cappellino rosanero in testa e il plaid del Palermo addosso. Il medico dice che non li toglie mai. Allora, chi va in campo deve lasciarci sudore, polmoni, gol e cuore per ricambiare l’amore della città». PAUL LA TROTTOLA. La cosa che gira, quella che funziona, è proprio lui, Paul. Una trottola. E Zamparini se lo tiene stretto: è la sua scoperta, se va come deve, il merito è suo. Un sogno o una rivoluzione di pensiero? «Si danno la mano. E ci credo. Le perplessità dell’ambiente non mi toccano, è una vita che mi confronto con occhiate interrogative: dal mio vissuto americano ad un papà che non c’era perché ha deciso di prendere un’altra strada. Entrato nel modo della finanza, mi presentavo alle riunioni così come sono, ora sotto le luci della ribalta avverto nuove perplessità. Per me è stato sempre uno stimolo». Nel Palermo strategia di lavoro orizzontale. Si passa dal patron Zamparini a Baccaglini, uno dello staff. «Siamo una Ferrari? Il metodo è uguale. Tutti insieme per un unico risultato. Mentalità vincente. Non CIA o FBI dove l’informazione viene divisa a pezzettini. Il paragone con la Ferrari mi lusinga e regge. La rossa quest’anno è partita con punti interrogativi e gli investimenti sono stati importanti. Anche noi abbiamo tante Mercedes da superare». A questo punto la figura di Zamparini consigliere non è inutile? Come se Marchionne discutendo con la squadra dicesse: un attimo che sento… Montezemolo. «Chi dice che non accada (sorride, ndr)? Zamparini è una persona che può suggerirti un punto di vista alternativo. C’è sempre qualcuno da cui attingere». Un proverbio siciliano dice: Amore, bellezza e denaro non si possono nascondere. Il Palermo reclama un intervento immediato. «Impossibile un matrimonio con i fichi secchi e un brand internazionale con il braccino corto. Sento il peso di un progetto che può cambiare la vita di molti, voglio dimostrare che la fiducia è stata riposta nella persona giusta». Baccaglini propone un’idea diversa. «Nel calcio serve una scossa, è una miniera d’oro che non sfruttiamo. Va avanti come un vecchio telefono che urge trasformare in IPhone. Dunque, bisogna rompere con il passato e con i poteri. E questo già creerebbe resistenza. Poi devi arrivare al successo con i tuoi modelli. Fare saltare il tappo in Lega? Se rispondo sì, ho tutti contro (ride, ndr). Sarò ingenuo, non cambierò il calcio italiano ma se posso spostarlo di un metro è per il suo bene. Dovessi trovare resistenze, cercherei di abbatterle». Il 13 agosto partite o mare? «Penso che quel giorno la gente vada in spiaggia piuttosto che seguire la squadra». «Quando mi sono trasferito in Brasile, ho trascurato le amicizie coltivate in Italia. Pensavo solo alla mia compagna Thais e alla nuova lingua. Una sconfitta. Ho imparato la lezione». A sette, otto anni voleva diventare un campione. «Il campione. Michael Jordan, stella universale. La cosa pazzesca è che tifavi per la tua squadra, nel mio caso i New York Knicks, ma ti piaceva M.J. anche se odiavi i Chicago Bulls perchè ti battevano. Le leggende si amano al di là di ogni barriera. Come Ayrton Senna». In un calcio globalizzato esiste la differenza tra italiani e stranieri? «Un ragazzo cresciuto a Palermo si attribuisce un senso di prestigio e di gioia diverso da quello che può dare uno straniero, per storia e cultura, non per xenofobia. La faccio ridere. La mia compagna mi racconta, che trovandosi a Milano, dopo le esperienze in Brasile e in Usa, con Antonio Ricci, e non avendo l’idea di chi fosse, lo trattava come un vecchietto, gli diceva parolacce, gli dava del bastardo. L’ingenuità di chi non conosce il peso del passato. Le porte restano aperte ma non bisogna andare ai Caraibi quando a Mondello c’è un mare straordinario». Quanta Italia e quanta America in lui? Paul risponde: «Cinquanta e cinquanta. Ho preso dall’Italia il senso della famiglia. Dall’America la monetizzazione del brand. Un esempio. Palermo ha regalato una cornice straordinaria alla Nazionale tanto da ricevere complimenti da tutti. Era la millesima di Buffon, abbiamo vinto 2 a 0… Negli ultimi dieci minuti per valorizzare il prodotto, con le telecamere puntate addosso, devi togliere Buffon per fargli prendere cinque minuti di applausi. Un errore non farlo. Qui manca il senso del business sia pure estremo. Negli Stati Uniti, un ragazzino di sedici anni, LaMelo, ha segnato 92 punti nell’high school, diventerà professionista dopo il primo anno di università, ma è già sotto i riflettori perché intanto bisogna produrre quattrini». I tatuaggi come fotografia della vita. «Sul petto, ho il ritratto di mia nonna su un mezzo busto della Madonna. Le volevo bene perché in un attimo mi ha fatto capire quanti sacrifici si facevano per mandare avanti la casa. Senza mai chiedere nulla, in silenzio e sorridente. Sul cuore invece c’è la scritta: “Obrigado”, in quanto il Brasile mi ha fatto conoscere Thais. La storia più divertente con le Iene. Il mio slogan era: “mojito” perché gli intervistati dovevano berne. La gente mi chiamava mojito, ne ho avuto un sacco gratis in giro per l’italia, allora l’ho voluto sul fianco. Ogni volta che lo guardo, mi ricorda quel periodo divertente e libero della mia vita. I famosi 20 anni»”. Questa l’intervista integrale a Paul Baccaglini rilasciata ai microfoni de “Il Corriere dello Sport”.