L’edizione odierna de “La Repubblica” analizza l’operato di Bruno Tedino fino a questo momento, confrontandolo con quello degli allenatori passati. Ecco quanto si legge:
“Nel calcio infarcito di frasi fatte e luoghi comuni, identità è una parola abusata che sembra essere il Santo Graal inseguito da ogni allenatore. Spesso i tecnici si riempiono la bocca raccontando che la loro squadra ha identità, che sa cosa fare in campo, che ha la giusta personalità. Soprattutto alla vigilia delle partite, è questo il mantra che viene ripetuto all’infinito quasi a volersi auto convincere del lavoro fatto. Chi segue le vicende rosanero avrà visto come, soprattutto lo scorso anno, gli allenatori che si sono succeduti sulla panchina del Palermo nella conferenza stampa pre gara ripetevano più o meno la stessa cosa. Salvo poi beccarne quattro o cinque a seconda dei casi e dell’avversario di turno dimostrando che, non solo non avevano capito nulla di quello che gli capitava intorno, ma di non essere riusciti a dare un’anima (giusto per non usare ancora una volta la parola identità) al loro gruppo. Tutto questo preambolo per dire che, anche se è vero che siamo alla seconda giornata di campionato ed è presto per esprimere giudizi definitivi, Tedino sembra essere già riuscito a dare una identità al Palermo. Non è da tutti rinunciare e otto titolari così come capitato a Brescia e tenere un livello del gioco qualitativamente alto. Insomma, i rosa sanno quello che devono fare in campo anche se La Gumina non è Nestorovski, Rolando non è Aleesami e via dicendo. È come se Tedino avesse fatto mandare a memoria ai suoi uno spartito che poi viene suonato da musicisti diversi”.