A quasi otto anni dal celebre sfogo post–Svezia, Sandro Pochesci torna a colpire duro. E, ascoltandolo oggi, sembra che nel calcio italiano non sia cambiato praticamente nulla. L’ex tecnico della Ternana, intervenuto ai microfoni di TMW Radio, ha analizzato senza filtri il momento degli Azzurri, impegnati nelle ultime due gare del girone contro Moldova e Norvegia e prossimi, salvo miracoli estoni, al terzo playoff consecutivo per raggiungere un Mondiale.
Secondo Pochesci, il problema non risiede nella qualità dei giovani — tutt’altro — ma nella struttura stessa del sistema calcistico italiano. «Stiamo facendo il Mondiale Under 17 e vinciamo 8-0 o 7-0. Siamo tornati ad essere l’Italia. Il problema non è nei giovani, ve lo dovete mettere in testa. Il problema è nel sistema sbagliato. È il sistema che rovina i giovani talenti che ci sono in Italia», ha spiegato.
Poi l’affondo: «Smettetela di dire che non ci sono più talenti o che non sanno dribblare. Non è vero niente. Date l’opportunità, fateli giocare: non deve debuttare un ragazzino di 17 anni perché il secondo portiere si fa male nel riscaldamento e il primo si infortuna all’ottavo minuto. Il sistema puzza dalla testa. Ci vogliono riforme».
Durissimo anche il giudizio sul percorso Mondiale degli Azzurri: «Playoff? È una vergogna. Dobbiamo pure festeggiare? Ma vi rendete conto del degrado che è il calcio italiano? È come nel 2017: progetto Italia che fa acqua, squadre piene di stranieri, Primavera piene di stranieri, scuole calcio a pagamento».
Un tema a lui caro, quello della formazione: «Il calcio è popolare. Oggi devo pagare 1200 euro per iscrivere mio figlio alla scuola calcio. Com’è possibile quando l’istruttore ne prende 200? E cosa può insegnare? Cambiate le leggi. Ci sono tanti calciatori che sanno fare il gesto tecnico, che hanno finito la loro carriera: obbligateli a fare 2-3 anni nelle scuole calcio».
Infine, una stoccata anche alla Serie C: «Sono contrario alla riduzione. L’errore è stato copiare la formula delle seconde squadre».
Per Pochesci, insomma, la radice del problema è sempre la stessa: non i talenti, ma il sistema. E, dopo otto anni, il suo grido resta identico: servono riforme, non alibi.