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Corriere dello Sport: “Dalla serie A alla C il sogno americano”

L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sul calcio italiano e il sogno americano.

Sarà che agli americani siamo abituati. Un po’ per il trascorso del blocco occidentale, un po’ per la colonizzazione dell’immaginario nazionale operata con cinema, televisioni e social network. Fatto sta che le proprietà statunitensi che investono nel calcio italiano non fanno quasi più notizia. È così, a fari spenti, che i club controllati da nordamericani sono arrivati alla doppia cifra, sette nella sola Serie A: la Roma dei Friedkin, il Milan del fondo Elliot, la Fiorentina di Commisso, il Venezia della VFC Newco, lo Spezia di Robert Platek, il Genoa di 777 Partners e il Bologna del canadese Joey Saputo, comunque legato a doppio filo al mercato americano essendo anche proprietario del CF Montréal. Poi le esperienze in Serie B del Parma di Krause e del Pisa del russo-americano Knaster, a cui si è recentemente aggiunto in Serie C il Cesena, per il 60% dell’americana Url Investment Partners LLC.

APPEAL del calcio ITALIANO. Ma perché così tanti americani investono nel calcio italiano? Tralasciando le più o meno fantasiose ipotesi di geopolitica nel pallone, innanzitutto perché nel nostro Paese trovano una situazione ideale: una materia prima (e grezza) da comprare a basso costo e poi, burocrazia permettendo, da trasformare in un business a 360 gradi. Luigi Capitano, partner di Monitor Deloitte, tempo fa lo spiegava in questi termini al Corriere della Sera: «Due sono i fattori. Il primo è il mercato potenzialmente aggredibile, 30 milioni di appassionati, dunque di potenziali clienti. Molti di più se si considerano le dimensioni internazionali. Il secondo è la capacità di generare ricavi, calcoliamo 18 miliardi fra diretti e indiretti. Il calcio vale l’1% del Pil».

NUOVI STADI. Insomma, investendo nel calcio gli americani non investono mai solo nel calcio: puntano sulla città, sul territorio, sull’indotto. Tutto passa, nella maggioranza dei casi, dagli stadi e dalle attività ad essi collegate: i nostri impianti sono infatti obsoleti, arretrati, distanti anni luce da quelli europei, ma proprio per questo godono di un enorme potenziale inespresso. Si stima allora che «nei prossimi 10 anni gli interventi di rinnovamento delle infrastrutture genereranno nuove fonti di ricavo per l’industria del calcio, e per i settori collegati, pari a circa 25 miliardi».

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Redazione Ilovepalermocalcio