Calcio Minore

Campedelli: «Drogba e Cavani erano già del Chievo. Il calcio mi ha rovinato, ma vorrei tornare»

La passione non è cieca, è visionaria. Una frase che Luca Campedelli sente profondamente sua, ripensando al Chievo, la squadra di famiglia diventata un simbolo nazionale e poi cancellata nel giro di pochi giorni. In un’intervista intensa rilasciata alla Gazzetta dello Sport, Campedelli torna a raccontare la sua verità su una vicenda che definisce senza mezzi termini «un delitto perfetto».

Il Chievo, spiega, è stato prima una storia familiare, poi una favola sportiva capace di conquistare tutti, infine una squadra rimasta senza padrone. «Meglio: uccisa», precisa Campedelli, riprendendo il titolo del suo libro Chievo, un delitto perfetto. Eppure, oltre al dolore, resta la passione. «Sarò un folle, ma sogno ancora di riportare in vita il mio Chievo. Per me è una malattia», confessa alla Gazzetta dello Sport, ricordando come il calcio sia entrato nella sua vita già a tre anni, diventando anche un ponte umano con il padre.

Dopo anni di silenzio, la decisione di parlare nasce da un’esigenza profonda. «Era giusto ristabilire la verità dopo tante falsità. Lo dovevo a mio padre, alla mia famiglia, a me stesso e alla storia del club», spiega nell’intervista alla Gazzetta dello Sport. Secondo Campedelli, il Chievo non ha mai avuto la possibilità di difendersi: nessuna replica, nessuna reale volontà di approfondire la vicenda da parte delle istituzioni.

Il punto centrale resta il periodo Covid. «Lo Stato emanò una norma che di fatto rese il club non iscrivibile al campionato. Senza il Covid il Chievo sarebbe ancora in vita: non avevamo problemi economici e gli stipendi erano stati pagati», ribadisce. Il club venne cancellato in appena sette giorni, dopo un dispositivo che bloccò le rateizzazioni. «Se avessi avuto più tempo, avrei trovato una strada. Ma nessuno mi ha ascoltato», racconta ancora alla Gazzetta dello Sport.

Campedelli non si sottrae all’autocritica. «Il mio errore più grande è stato non aver messo in sicurezza il Chievo prima della sospensione dalla carica di presidente», ammette. Precisa anche la sua posizione giudiziaria: assolto per le plusvalenze, condannato in primo grado per falso in bilancio, con ricorso già presentato in appello.

Gli anni successivi sono stati durissimi. Tra avvocati e nuove attività, Campedelli si è dedicato anche allo sport per disabili, accompagnando una squadra di ragazzi. Ma il momento più buio arriva nel novembre 2021. «Ho tentato il suicidio. Mi sentivo un peso, senza vie d’uscita», confessa con lucidità e dolore alla Gazzetta dello Sport. Oggi dice di aver ritrovato un filo di speranza, ma il rapporto con il calcio è cambiato: preferisce quello dilettantistico, lontano da tecnologia e interessi.

Il racconto si intreccia con ricordi sportivi e rimpianti. Milan-Chievo 3-2 a San Siro resta la partita del cuore, mentre sul mercato emergono sliding doors clamorose: Drogba, già promesso nel 2002, Cavani scartato nel 2006, Cahill mai ritenuto adatto. Anche il rapporto con Sartori viene definito irrecuperabile, nonostante 21 anni condivisi. Più aperto, invece, uno spiraglio umano con Pellissier, pur nella consapevolezza che il Chievo di oggi non è quello di allora.

«Il Chievo non è solo un marchio», conclude Campedelli. «Sono le coppe, le maglie, le persone. Quel calcio era passione pura». Un’idea di sport che, come emerge chiaramente dalle parole affidate alla Gazzetta dello Sport, per lui non potrà mai morire davvero.

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Redazione Ilovepalermocalcio