PALERMO

D’Amico: «Per prendere Dawidowicz dal Palermo passammo 13 ore chiusi in hotel»

Il direttore sportivo dell’Atalanta, Tony D’Amico, si è raccontato in una lunga intervista concessa alla Gazzetta dello Sport, ripercorrendo la sua carriera da calciatore e quella da dirigente. «No, “La rivincita” non è esatto. Da calciatore ho fatto il massimo di quello che potevo fare», ha spiegato subito l’ex centrocampista, ricordando gli inizi difficili.

Alla Gazzetta dello Sport, D’Amico ha raccontato di essere stato una mezzala di grande corsa ma con poco feeling col gol: «Non facevo gol neanche solo davanti alla porta. E poi rompic…: litigavo con tutti, anche con i compagni». Un carattere deciso che lo ha accompagnato anche nella vita. «La notte della festa promozione in C1 il mio miglior amico, Catello Mari, muore in un incidente stradale. Quel giorno è “morto” anche il ragazzo spensierato che ero».

Il passaggio a Foggia fu uno spartiacque. «Avevo il numero 10, mi battezzarono “il nuovo Shalimov”, ma giocai poco e male. Mi fischiavano in ventimila», ha confessato alla Gazzetta dello Sport. L’anno dopo, però, con Filippo Fusco direttore e Fabio Pecchia allenatore, iniziò una nuova carriera: «Il “pacco D’Amico” divenne capitano e applaudito».

Il salto da dirigente arrivò quasi per caso. «Fusco mi chiese di fare relazioni su alcuni giovani, poi mi propose di entrare nell’area scouting. A Verona, dopo le dimissioni di Fusco, Setti mi affidò il ruolo di ds. Quando chiamai mia moglie Federica, mi tremava la voce». Alla Gazzetta dello Sport, D’Amico ha poi ricordato il diploma da ds con una tesi dal titolo “Diario dello scout”: «Un giocatore va anche immaginato nella sua evoluzione».

Sul presente all’Atalanta, D’Amico ha sottolineato il valore del lavoro di squadra con Luca Percassi: «A Verona ero troppo istintivo, qui ho imparato a disciplinarmi. Ma i miei principi restano gli stessi: lealtà, rispetto e capacità di risolvere i problemi quotidiani».

Quanto al mercato, l’uomo-mercato della Dea non nasconde i momenti più complicati: «Gestire casi come Koopmeiners o Lookman non è facile. Devi dimenticare che sono ragazzi con cui hai vissuto mille cose. È dura». Tra i rimpianti cita Scamacca, non preso quando era a Verona, mentre tra i colpi rivendica Amrabat e Zaccagni. E ironizza: «Corsi mi ripete sempre: bravo dirigente, però quanto eri scarso quando giocavi».

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Redazione Ilovepalermocalcio