Gazzetta dello Sport: “Maresca dice stop. Si ritira un grande Uomo”

Non è un uomo qualunque, Enzo Maresca. Non lo sarà nemmeno nel momento del commiato su cui sta meditando in questi giorni. Nelle prossime ore il direttore sportivo del Verona, Filippo Fusco, incontrerà il suo agente, Candido Fortunato, per concordare la risoluzione del contratto del giocatore, in scadenza il 30 giugno (ieri Maresca non era presente alla ripresa degli allenamenti dei gialloblù e sarà in permesso fino a venerdì), arrivato all’Hellas da svincolato, a settembre. Otto presenze per 338’ totali, una condizione fisica che non è mai lievitata, dopo un’estate senza squadra, una volta concluso il rapporto con il Palermo, e, poco per volta, la panchina, in coincidenza con la crescita dei giovani centrocampisti gialloblù. Partendo lui comunque al Verona servirà un sostituto e tra gli altri piace Fazzi del Crotone (che sembrava destinato al Perugia).

CONCORRENZA Prima Valoti, dopo Zaccagni, che quando parla di Maresca utilizza un’espressione semplice per descriverlo: «È un maestro». Un maestro che valuta l’addio al pallone (potrebbe diventare procuratore) e che, quando era lui a essere un allievo, e non ancora un professore, ha contribuito a scrivere una delle storie più tumultuose del calcio italiano. Perché senza di lui, forse, la data del 5 maggio sarebbe rimasta legata soltanto ai versi della celebre poesia che Alessandro Manzoni compose in memoria di Napoleone Bonaparte e non, invece, a un adrenalinico colpo di scena pallonaro. Nella Juve che superò sul filo del gong del campionato, nel 2002, l’Inter, c’era anche Maresca. Un 21enne che prendeva lezioni da Del Piero, da Conte, da Nedved, da Davids, da Pessotto, da Thuram, da Trezeguet e da quel Ciro Ferrara che, il 24 febbraio, negli spogliatoi dello stadio Delle Alpi, dopo un derby di Torino fiammeggiante, disse: «Maresca avrebbe voluto fare l’esultanza della zebra, ma non sa come sia». Già, perché pochi minuti prima, agli sgoccioli di un duello rusticano che il Toro stava vincendo in rimonta per 2­-1, proprio lui sbucò a infilare di testa il gol del pareggio, per poi lanciarsi in una corsa pazza con le dita tese a imitare delle corna. Il gesto con cui gioiva Marco Ferrante, attaccante granata, un idolo della curva Maratona, e che richiamava l’orgoglio di un popolo intero. Su Maresca si scatenò la bufera. Quel punto tempestoso consentì alla Juve di proseguire nel testa a testa con l’Inter di Cúper, l’hombre vertical, di Ronaldo e Christian Vieri.

CARRIERA INTERNAZIONALE Il sorpasso finale ebbe, dunque, anche il marchio di Maresca. Che, da allora, ha avuto una carriera in cui le vittorie sono state frequenti, con il picco in Spagna, al Siviglia, il club in cui ha giocato per 4 stagioni, dal 2005 al 2009, partecipando alla sua ascesa al tavolo delle nobili d’Europa – vinte due Coppe Uefa, e la prima con un 4­0 in finale nel 2006 al Middlesbrough con una doppietta proprio di Maresca, e una Supercoppa europea, con sigillo su rigore nel 3­0 al Barcellona pochi mesi dopo ­ con Juande Ramos in panchina a miscelare una covata di grandi talenti: tra gli altri, Luis Fabiano, Frédéric Kanouté, Jésus Navas, Dani Alves e Antonio Puerta, che se ne andò nel 2007, stroncato da un arresto cardiaco che lo colpì mentre giocava, e che Maresca porta sempre con sé, sulla pelle, con un tatuaggio che lo ricorda, e sulla maglia, con quel numero 16 spesso scelto da Enzo e che era quello di Antonio. Un numero che presto potrebbe lasciare. Tenendoselo, però, stretto al fianco: già, Maresca non è uomo qualunque“. Questo quanto riporta l’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport”.