Diamanti si è preso il Perugia: «A Palermo mi era passata la voglia di giocare. Adesso…»

L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” ha realizzato una lunga intervista ad Alessandro Diamanti. L’ex rosanero si è anche espresso sulla sua esperienza a Palermo. Ecco qualche passaggio:

“«Tutti col numero dieci sulla schiena, e poi sbagliamo i rigori!» canta Cesare Cremonini, bolognese doc. Alessandro Diamanti, bolognese d’adozione, il numero 10 l’ha stampato sulla pelle, a Perugia ha preso il 21 come gli ha consigliato il suo amico Andrea Pirlo e i rigori li sbaglia raramente. E soprattutto, da quando è stato tesserato (16 febbraio), la sua squadra ha infilato uno strepitoso filotto: 8 partite, 7 vittorie e un pareggio. E se fosse arrivato prima? «Ho trovato un gruppo di bravi ragazzi. Se avessi trovato qualche testa di c… sarei anche potuto tornare a casa subito. Invece sono contento, fa piacere andare a lavorare con questi compagni, e condividere questi grandi risultati con loro». Sei spezzoni in campo, un gol su rigore, diversi assist e una presenza forte nello spogliatoio. «Ho sempre avuto peso negli spogliatoi, cerco sempre di aiutare i compagni, qui a Perugia mi fa particolarmente piacere trovare ragazzi che ascoltano». Ma perché uno come lei ha dovuto aspettare quasi 8 mesi per trovare squadra? «Una scelta mia. Dopo l’anno nel Palermo mi era un po’ passata la passione, a livello umano. Perugia mi è piaciuta subito e sto tornando il vero Diamanti». Otto mesi che non ha passato sul divano… «Macché divano! Mi sono allenato seriamente all’Isokinetic e anche con gli Allievi nazionali del Bologna di mister Magnani». Dica la verità: aspettava una chiamata dalla A. «Qualche chiamata l’ho anche avuta, ma erano un po’ forzate. Nulla di serio e convincente. Meglio aspettare, non sono uno che si accontenta. Le partite in tv le vedevo, credo che a qualcuno avrei fatto comodo, ma l’interesse giusto non c’è stato. Non volevo fare come al Watford, che mi ha preso malgrado l’allenatore avesse altre idee tattiche e poi sono stato sei mesi a guardare gli altri». […]”.